mercoledì 30 gennaio 2013

DEATHDOC by Eugenia Guerrieri

Benvenuti a tutti i visitatori dei Bastioni.
Grafica nuova, una pagina su facebook... insomma, è una settimana di novità!
E, per premiare la vostra costanza nel seguirci, da questa settimana raddoppiamo: doppia razione di anteprima a puntate!
La seconda autrice a farci compagnia nelle prossime settimane ci propone un genere del tutto diverso rispetto alla fantascienza di Fratelli dello Spazio Profondo...
Ma non vi rovino la sopresa e passo subito a presentarvi Eugenia.




L'AutriceEugenia Guerrieri è nata nel 1978 a Roma, dove risiede. Ha un diploma di ragioniera, ma le sarebbe piaciuto studiare Medicina.È amante degli animali, in particolare i gatti, le piace fare lunghe passeggiate sia a piedi che in bicicletta mentre ascolta la musica con le cuffie. Accanita lettrice, per lei fare shopping significa rifornirsi di libri. Predilige le ore serali e i posti tranquilli e silenziosi dove rifugiarsi a scrivere con il suo netbook.Fan sfegatata de "LE CRONACHE DEL GHIACCIO E DEL FUOCO", sa di non poter emulare George R.R. Martin, ma fa del suo meglio scrivendo da quando aveva tredici anni; finora ha già pubblicato quattro libri della saga "LA BELLA GIOVENTÙ" con la BookSprint Edizioni di Buccino (Sa), di cui il romanzo DEATHDOC è uno spin-off narrato dal punto di vista di uno dei personaggi secondari più misteriosi e controversi.  SINOSSI
In tutta la storia della letteratura, il cimitero è visto come luogo ideale per ambientazioni horror, o come luogo triste, lugubre e che poco induce all'allegria. Questo è un romanzo iconoclasta, assolutamente insolito, scritto con ritmo vivace; capace di abbattere tutti i luoghi comuni e sdrammatizzare la tristezza cimiteriale. Notevoli i risvolti istruttivi e la grandissima competenza medica inerente al tema. Reduce da un passato drammatico, traffico di organi, omicidi e fughe precipitose, tra ricordi del passato e frammenti di vita ordinaria raccontata in brevi e gustosi episodi, il custode del cimitero di Velletri, ex anatomopatologo, riesce a farci ridere a crepapelle nella quotidianità di quello che in fondo, è un lavoro come un altro, ricco di spunti per battute a non finire, simpatia e umanità varia. Sicuramente un libro inusuale e adatto a tutti nonostante la crudezza di alcuni brani.
(Erika Corvo)

IL BUSINESS DEL TRAPASSO

Chi la fa, non ne ha bisogno.
Chi la compra, non la vuole.
Chi la usa, non la vede.
(Risposta: LA BARA)

Qual è il settore che non conoscerà mai la crisi? 
C'è chi sostiene sia la ven-dita porta a porta, ma si sbaglia; è il "business della morte", per ovvi motivi. Qui a Velletri ci sono una decina di imprese di pompe funebri che si fanno una concorrenza spietata.
La gente muore, è vero; eppure, chi lavora in questo campo deve essere ugualmente furbo e riuscire ad accaparrarsi i clienti prima delle altre ditte, dando mazzette agli infermieri affinché li avvertano in anticipo che il signor "Tal dei Tali" sta per passare a miglior vita.
Ogni impresa ha un certo numero di infermieri amici, che a loro volta si fanno una gara serrata per avvertire per primi chi di dovere della presenza di un moribondo.Io stesso, la scorsa estate, ho rilevato una ditta sull'orlo del fallimento. Il titolare era disperato, perché di affari ne faceva pochi: stava invecchiando, il suo socio un bel giorno aveva deciso di mettersi in proprio. Lui aveva perso gli informatori, e non aveva abbastanza soldi per cercarne altri.
Non avevo previsto una cosa del genere, eppure mi è capitata tra capo e collo in un giorno d'estate.
Era un'afosa mattinata di metà luglio, di quelle che alle nove del mattino già si sudava. In giro era tutto un frinire di cicale da diventare matti e c'erano quaranta gradi all'ombra, con tutto che siamo a più di trecento metri sul livello del mare.
La sera prima, in tivù, si erano raccomandati di tenere in casa bambini, anziani e cardiopatici; io rientro nella terza categoria ma, se non lo fa il sot-toscritto, a ritirare i nulla osta alla sepoltura in Comune chi ci va?
Così mi era toccato uscire e, sulla via del ritorno, a causa del caldo torrido, mi ero sentito male: mi girava la testa, avevo la vista annebbiata e sudavo così copiosamente che la mia camicia, da azzurra era diventata blu. Inoltre, cosa ancora più allarmante, le pulsazioni del mio cuore erano aumenta-te a dismisura.
Dovevo assolutamente entrare in un bar, sedermi e chiedere che mi des-sero un po' di acqua e zucchero. Stavo cercandone uno, quando mi ritrovai a passare accanto alla sede della "Onoranze Funebri San Biagio".
Il titolare era fuori a fumare e, accorgendosi di me che barcollavo come uno zombie, mi si accostò per chiedermi se avessi bisogno di aiuto.
Non capii se la sua fosse una domanda a doppio senso, o se era dettata dalla sincera preoccupazione per me, ma probabilmente metterei la crocetta sulla prima opzione. «Solo se avete bare comode», risposi.
L'uomo, che probabilmente si era preparato psicologicamente a ricevere una rispostaccia (scommetto che chiunque avesse un malore estivo e si ritrovasse a passare vicino a una ditta di pompe funebri, reagirebbe maluccio a una simile domanda), mi fissò senza parlare per qualche secondo per poi scoppiare a ridere.«Gli affari mi vanno male», mi disse mentre mi riposavo su una poltrona dopo essere stato invitato ad entrare, «e se continua così, temo che presto dovrò chiudere!»Un'agenzia di pompe funebri a cui gli affari andavano male? Impossibile. Bisogna essere proprio cretini per fallire in questo settore.
«Le ditte concorrenti hanno informatori in ospedali e cliniche e sanno quando c'è un moribondo, perché vengono avvertite. Mentre io, purtroppo, non mi posso permettere di pagare nessuno affinché faccia lo stesso.»
«Ah...!» mi limitai a dire, per poi suggerirgli ingenuamente di andarci di persona.
Non poteva farlo, per legge quelli delle pompe funebri non possono aggirarsi negli ospedali svolazzando come avvoltoi ed offrire i loro servizi. Sono più sgraditi dei venditori porta a porta e dei Testimoni di Geova.
«Ti perdi in un bicchiere d'acqua. Non ci devi mica andare per forza in veste di beccamorto... non puoi fingere di avere un parente o un amico ricoverato e intanto, con quella scusa, passarti in rassegna gli altri?»
«Non ti credere, ci riconoscono a pelle. E io, invece, non riesco a capire se una persona sta per morire o no!»Pensai che mi prendesse in giro. Non era possibile che non sapesse riconoscere un uomo in punto di morte... è facilissimo, io so fare una previsione quasi al 100%.
Dalla vetrina scrutai febbrilmente la strada cercando una potenziale cavia, finché non ne individuai una perfetta: un arzillo vecchietto apparente-mente in buona salute, che entro sei mesi non ci sarebbe stato più. Ci avrei scommesso.
So bene come funzionano le cose in quel settore: chi arriva primo, si aggiudica il morto... e per essere i primi, si devono avere degli amici. È sempre stato così, anche quando io lavoravo nel reparto di Rianimazione e Terapia Intensiva del Policlinico; la differenza consisteva nel fatto che Mazzone pagava soprattutto il silenzio e la complicità degli addetti alle pompe funebri.
Il titolare della sua ditta di fiducia si pigliava mille euro a cadavere e dava agli addetti alla vestizione il 20% ciascuno affinché non raccontassero in giro delle cicatrici che vedevano in corrispondenza di dove si dovrebbero trovare gli organi, mentre il resto lo teneva per sé.
Quelli, che per ogni vestizione tradizionale venivano pagati ottanta euro a testa, per quasi il triplo della somma erano più che disposti a chiudere en-trambi gli occhi. E non solo gli occhi... tenevano anche la bocca cucita.
«Non è detta l'ultima parola», tentai di consolarlo, «se da solo non riesci a espanderti, hai bisogno di un socio che abbia fondi a sufficienza per creare una nuova rete di informatori.»



DEATHDOC è disponibile in tutti i principali store on-line, ed è solo questione di tempo prima che lo possiate ritrovare anche in versione ebook!
Quindi, che aspettate? Correte a cercarlo!
E alla prossima settimana per un altro piccolo frammento di allegrie cimiteriale...

lunedì 28 gennaio 2013

Fratelli dello Spazio Profondo di Erika Corvo - terzo appuntamento

Benvenuti di nuovo tra le stelle, sui Bastioni dell'Illusione.
L'avventura di Erika Corvo continua... e noi siamo lieti di continuare a narrarvela: se vi siete persi gli altri due appuntamenti, correte a recuperare i post di Bastions of Illusion che vi mancano!
Leggete queste pagine tutte d'un fiato, e poi correte a conoscerla meglio.
Erika Corvo su Amazon

 Sette ragazzi scavalcarono velocemente il basso davanzale, precipitandosi
all’inseguimento del fuggitivo.
Brian percorse tutto il cortile, girando attorno al capanno del giardiniere,
provocando lo starnazzare spaventato di alcuni decorativi uccelli esotici.
Afferrò al volo una vanga e con essa si nascose dietro un angolo della
costruzione, sorprendendo con un tremendo colpo all’altezza del petto il
primo dei suoi inseguitori, il quale si accasciò al suolo con un grido
strozzato e due costole incrinate.
Il secondo del gruppetto venne atterrato da un colpo vibrato dall’alto verso
il basso che, per sua fortuna lo colse ad una spalla.
Gli altri cinque lo raggiunsero e lo fronteggiarono, estraendo corti bastoni
da sotto la giubba dell’uniforme.
Senza impegnarsi in un combattimento diretto, Black scagliò loro addosso
la vanga e tornò alla fuga.
<< Prendetelo! Non lasciatelo scappare! >> gridò Bomakov, furibondo
per la facilità con cui l’altro si prendeva gioco dei suoi compagni, in quel
mordi e fuggi.
I due ragazzi a terra non riuscirono a rialzarsi.
Black corse a perdifiato, saltando agilmente il basso muretto di cinzione
che separava l’area adibita a convitto dagli orti botanici.
Appena al di là del muro, afferrò un ramo tagliato da una catasta
accumulata da alcune potature, e invece di proseguire la fuga si nascose,
accosciato accanto al muretto.
Non appena uno dei ragazzi lo scavalcò, si rialzò di scatto e brandendo il
ramo a mo’ di clava, colpì l’infelice con un poderoso colpo tra schiena e
collo, sufficiente a tramortirlo. Subito dopo scaraventò di peso il ramo
dall’altra parte del muro. Un grido di dolore lo informò che uno dei suoi
avversari era stato centrato.
Tornò a darsi alla fuga mentre quattro figure scavalcavano velocemente il
muro alle sue spalle, proseguendo l’inseguimento.
Correndo alla massima velocità possibile attraverso il terreno dissodato di
fresco, riuscì nuovamente a distanziare i suoi avversari.
Ansante e madido di sudore, si fermò a riprendere fiato dietro ad un basso
capanno per gli attrezzi quando, improvvisamente, questo esplose con un
lampo accecante e un boato.
Black venne scaraventato a terra, semisepolto tra assi spezzate e rottami.
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Vedendolo rimanere immobile, quattro inseguitori si arrestarono.
<< Che diavolo è successo? Perché è esploso, quel capanno? >>
<< Non lo so, Bruno. Black non si rialza. >>
<< Non si muove più. Che sia morto? >>
<< Supremo Devaj! Finiremo tutti nei guai! Chi glielo spiega, al rettore,
che non siamo stati noi ad ucciderlo intenzionalmente? >>
<< Bastardi Dèi, filiamocela, Boma! >>
<< Si, filiamocela! >>
<< E Black? Non controlliamo se sia vivo o morto? >> obiettò Bruno
Bomakov.
<< E se qualcuno ci vedesse accanto a lui? Un conto è una rissa, un altro è
un’accusa di omicidio. Tu fa’ quello che vuoi: io me ne vado. >> disse
Caibo, pallido e tirato.
Come un sol uomo, i tre ragazzi si girarono e fuggirono via. Bomakov
esitò un solo secondo, poi li seguì.

Un uomo uscì correndo da un secondo capanno, poco distante da quello
saltato in aria. Raggiunse il luogo dell’esplosione e con una certa
apprensione costatò la presenza di un corpo che non avrebbe dovuto
esserci. Iniziò allora a scostare freneticamente le assi che lo ricoprivano, e
dopo aver rivoltato sulla schiena il malcapitato privo di sensi, gli tastò
l’arteria giugulare, poi lo trascinò all’interno del secondo capanno.
Nel riaprire gli occhi, Brian Black vide un volto sconosciuto chino su di
lui, e lo sconosciuto a cui apparteneva quel volto lo stava schiaffeggiando.
Con uno scatto degno di una tigre si rimise in piedi e, afferrato l’uomo per
il bavero, lo sbatté contro la sottile parete di assi inchiodate.
<< Posso anche capire una rissa o un pestaggio, ma a farmi saltare in aria
non ci aveva provato ancora nessuno: ti assicuro che tu sarai il primo e
l’ultimo a potersi vantare di averlo fatto! >> gli ringhiò rabbiosamente sul
muso.
<< Ehi, guarda che ti stai sbagliando, fratello! Ti assicuro che io non…>>
Un velo scuro davanti agli occhi costrinse Brian a lasciare la presa. Con le
orecchie che ronzavano, un baluginio di punti luminosi davanti agli occhi e
madido di sudore freddo, il ragazzo arretrò di qualche passo, ricadendo a
sedere su una cassa, lasciando che la testa si poggiasse alla parete.
<< Se ti avvicini sei un uomo morto. >> sibilò facendo scattare la lama di
un coltello a serramanico estratto di tasca.
Ansimava come un mantice cercando disperatamente di non perdere i sensi
una seconda volta, con la fronte imperlata di sudore e un rivolo di sangue
che gli colava giù da una tempia.
L’altro lo guardò cercando di comprendere il motivo di una simile
reazione.
<< Senti, non so chi tu sia, ma posso giurarti che non avevo la minima
intenzione di fare di te uno spezzatino.TU, piuttosto! Che cavolo ti è
saltato in mente di arrivare qui dove gli studenti non dovrebbero avere
libero accesso, dopo che avevo chiesto e ottenuto dal rettore il permesso di
poter sperimentare degli esplosivi? >> Brian socchiuse gli occhi, lottando
per mantenersi lucido. << Hey, stai bene? Sei ferito, per gli Dei! Metti via
quella lama e lascia che ti dia un’occhiata: stai perdendo sangue. Mi
senti?>>
Il coltello cadde a terra con un rumore secco.

<< Sei certo di non voler passare in infermeria a farti visitare? >> chiese
l’uomo dopo aver disinfettato con cura il graffio sulla tempia di Brian.
<< Certissimo.>> rispose questi, disteso sul lettino della stanzetta in cui lo
sconosciuto l’aveva portato, riprendendo lentamente un po’ di colore.<<E’
già troppo quello che hai fatto, grazie. Ma da dove spunti, tu? Non mi
sembra di averti mai visto, qua in giro. >>
<< Mi chiamo Stylo >> si presentò l’uomo: un giovane tra i venticinque e
i trent’anni, alto e d corporatura solida, con i capelli chiari e una corta
barba a contornargli la bocca e il mento. << E se non mi hai mai visto, è
perché sono arrivato con l’ultima navetta. >>
<< Devi essere degli ultimi corsi, allora. Ma questo non mi spiega cosa ci
facessi nell’orto botanico a pasticciare con le bombe. Sei sicuro di non
essere un amico di Bomakov? >>
Stylo valutò con un’occhiata il ragazzo disteso sul lettino: diciotto,
diciannove anni al massimo, fisico perfettamente sviluppato, corti capelli
nerissimi, e un viso piacevole dai lineamenti regolari, se non fosse stato
per quell’espressione scontrosa stampata sopra.
<< Nemmeno lo conosco, questo tizio. Era tra quelli che sono scappati
quando ti hanno visto cadere? Perché ti inseguivano? >>
<< Difficile trovare qualcuno che non mi abbia mai inseguito, qua dentro:
darmi la caccia è uno sport nazionale. Strano che nessuno te l’abbia ancora
detto. >>
<< Che vuoi dire con questa strana risposta? Perché ce l’hanno con te? >>
<< Perché provengo da un pianeta affiliatosi solo di recente alla
Federazione Interplanetaria, così lontano che nessuno l’aveva nemmeno
mai sentito nominare, prima. Mi tormentano, mi deridono chiamandomi
contadino, cavernicolo e provinciale. >>
<< A sentirlo sembra assurdo. E tu non ti difendi? >>
Brian ridacchiò << Se inseguirmi è il loro sport, difendermi e sopravvivere
è diventato il mio hobby la mia arte. >>
<< Bel problema. E i prof? Hai provato a parlargliene? >>
<< Come no? Il primo anno non ho fatto altro che lamentarmi di come mi
trattassero gli altri, ma si sono sempre limitati a rimproverare blandamente
chi mi infastidiva, e col passare del tempo, i rimproveri si sono fatti
sempre più fiacchi. Un provinciale non merita la loro attenzione: deve
difendersi da solo. >>
<< Così vai in giro armato. Non pensi possa essere pericoloso? >>
<< Girare disarmato non sarebbe meno pericoloso. Sarebbe letale. >>
<< Sono sicuro che tu stia esagerando, ma il concetto è chiaro. >> replicò
Stylo, convinto che il ragazzo stesse ingigantendo una situazione di poca
importanza, probabilmente allo scopo di attrarre l’attenzione su di sé.
<< Stavo testando un paio di nuovi tipi di esplosivi al plastico per una mia
tesi – io adoro gli esplosivi, anche se molti la giudicano una passione
alquanto insana – e i vecchi capanni nell’orto si prestavano benissimo ai
miei esperimenti. Ma mi era stato assicurato che nessuno studente si
sarebbe potuto avvicinare, e anche gli inservienti sarebbero stati avvertiti
perché i tenessero alla larga. Sei stato anche fin troppo fortunato che quelle
grosse assi ti abbiano protetto da una pioggia di schegge.
<< Sei uno strano tipo, mi sa: preparare la tesi di congedo parlando di
esplosivi e facendo saltare le baracche, non mi sembra una grande idea. >>
fece Brian alzando un sopracciglio, sicuro di trovarsi di fronte ad uno
studente dell’ultimo anno. << Dov’eri, prima di venire qui? >>
<< Parecchio lontano. >> generalizzò Stylo. << Ma non mi trovavo affatto
bene, e ho chiesto di potermi trasferire su Ottol. Non mi sembra un brutto
posto. Tu sei qui da molto? Che te ne sembra? >>

 La storia vi piace fino a ora?
Attenzione, attenzione, perchè presto potreste anche trovare una grossa sorpresa a riguardo.
Come una recensione, per esempio.

A presto, Viaggiatori!

mercoledì 23 gennaio 2013

The Black Rose saga - Powers di Susan Mikhaiel

Rieccoci al secondo appuntamento settimanale con un autore emergente, ed eccoci a un genere e uno stile molto diverso da quelli che abbiamo sperimentato giusto lunedì...
Non dirò nulla per non influenzarvi, ma mi ha fatto pensare a molte cose... Magari ne discuteremo con l'autrice in una bella intervista prima o poi! :D
Ma lascio la parola direttamente a Susan.


BIOGRAFIA:

Susan Mikhaiel è nata in un paesino della provincia di Bergamo, Ponte San
Pietro, e attualmente vive con i suoi 4 fratelli, sua madre e due gatte.Ha
iniziato a scrivere alla veneranda età di 13 anni, dopo aver visto un film
horror che ha dato il via alla sua vena artistica. Da lì ha iniziato a scrivere
semplici trame di film, poi è passata ai racconti veri e propri fino ad
arrivare a concepire un libro. In cantiere ha parecchi libri, alcuni già
iniziati e altri ancora in fase di "raccolta delle idee", ma la Black Rose saga
desiderava così tanto venir fuori che l'ha messa al primo posto. Concepita per
gioco nel 2005, nell'estate del 2011 è definitivamente diventata il suo più
ambizioso progetto letterario, a tal punto da aver dedicato un'altra sua
passione ad essa: la musica. Ha infatti progettato una vera e propria OST.

 SINOSSI POWERS:

Sue è una giovane italiana che giunge in Giappone per proseguire gli studi. In
realtà, però, desidererebbe più che altro dare una svolta alla sua vita
tormentata. Già dal primo giorno comincia a sentire la pressione dei nuovi
compagni, in particolare della capoclasse Fancy, che l’accoglie in maniera
piuttosto inquietante. Questa rivela di essere una cercatrice del Santo Graal e
le spiega la loro missione. Inizialmente Sue è restia all’idea di accettare un
incarico tanto misterioso quanto impegnativo, ma ben presto capisce che quella
potrebbe essere la via per dare la svolta tanto attesa alla sua esistenza. Ad
intralciare il suo futuro subentrano, però, ambigui personaggi: da un lato il
suo professore di scienze, che sta progettando qualcosa di macabro nel suo
laboratorio; dall’altro l’interferenza di alcuni fantasmi relegati nella tetra
Ghost City e delle strane morti nella periferia della città attireranno la sua
attenzione fino a farle scoprire scottanti realtà.

Ed ecco a voi un piccolo estratto...



L’ennesima fonte luminosa cominciò a generarsi in mezzo al campo di segale. Dopo innumerevoli giorni l’energia stava finalmente per completare la sua trasformazione. Ogni singolo filo d’erba circostante inaridì di colpo, emanando delle scariche che convogliarono tutte verso il vortice elettrico. Stessa terribile sorte accadde anche agli insetti che svolazzavano lì attorno. Una figura incappucciata, che vagava misteriosamente nei paraggi, si fermò a fissare lo strano fenomeno che si stava consumando sotto i suoi occhi. Nel cuore della notte, in mezzo alle lande desolate al di là del cimitero, nella fitta nebbia, qualcosa di atroce stava per scatenarsi. Ogni singola forma di vita che si trovava nel raggio di pochi metri dalla sfera luminosa cedeva inspiegabilmente le proprie forze a quel buco nero intangibile. La creatura incappucciata, la quale brandiva un’enorme falce e sfoggiava due eleganti ali nere come la pece, cominciò a sentire le proprie forze abbandonare velocemente il suo corpo, per cui si allontanò quanto più possibile, senza però privarsi dell’orripilante quanto curiosa scena che si ritrovava davanti. All’improvviso dalla sfera di energia esplose un’enorme luce accecante, e dopo alcuni istanti tutto ciò che rimase fu un orrendo spirito azzurrognolo dalle fattezze terrificanti. Dei lunghi capelli scompigliati adornavano il volto del mostro, e all’estremità inferiore non vi erano gambe, bensì il nulla. Il fantasma cominciò a fluttuare nella direzione opposta a quella dell’incappucciato in cerca di energia con cui potersi nutrire. Qualcosa lo fece voltare all’indietro, e quando si accorse di essere osservato cominciò a dirigersi verso l’estraneo. Questi, però, fuggì via in un istante e il mostro fluttuante non poté far altro che lasciar perdere e se ne andò nella direzione opposta, ripromettendosi di vendicarsi una volta che avesse scoperto l’identità della figura misteriosa.
L’incappucciato si avviò silenziosamente verso le strade buie e periferiche di Tokyo, quando si accorse che le luci della città erano completamente assenti: l’ennesimo blackout. Non fu difficile capire che questo era stato causato dall’apparizione del fantasma, il quale si servì di tutta l’energia che riuscì a trovare per potersi manifestare. In parte aveva utilizzato anche le energie dell’incappucciato, il quale cercava una facile preda di cui cibarsi per recuperare le forze. Notò un uomo ubriaco in un vicolo che tentava di allungare le mani su una povera ragazza, anch’essa ubriaca. Decise che avrebbe agito una volta che si fosse consumato qualche atroce delitto. L’uomo riuscì a rubare la borsa della ragazza, e la percosse ripetutamente sul suo corpo per costringerla a sottomettersi al proprio volere. La povera donna urlava invano, infatti le strade erano deserte e in quella zona della città le case erano quasi tutte disabitate. Difficilmente qualcuno avrebbe potuto soccorrere l’innocente. Il maniaco la obbligò a spogliarsi completamente e, quando ella lo ebbe fatto, le saltò addosso e cominciò ad abusare di lei. Il sudicio corpo maschile si muoveva come una nave in preda alle onde del mare, mentre il corpo di lei cominciò lentamente a lasciarsi andare e smise di opporre resistenza. Una volta che l’uomo ebbe saziato uno dei suoi più primordiali istinti, tirò fuori un coltello e lo conficcò nel petto della povera malcapitata, la quale si lasciò andare ad un disperato rantolo di dolore. Il sangue cominciò a fioccare copiosamente dalla profonda ferita. L’uomo appoggiò la testa tra i seni della ragazza e rimase in quella posizione finché il suo cuore non smise di battere. La fontanella di porpora si arrestò e l’uomo ricominciò a sfamare il suo macabro desiderio. Fu solo a quel punto che l’incappucciato decise di intervenire. Si avvicinò con passi impercettibili alle spalle del bastardo. All’improvviso tornò la luce, ma questo non spaventò la creatura alata, che bene sapeva quanto fosse disabitata quella parte della città. L’uomo vide un’ombra e, girandosi di scatto, urlò dalla paura.
“Voglio fare un gioco con te” disse freddamente l’incappucciato.
“C-chi diavolo s-sei? C-cosa ci f-fai qui?” balbettò terrorizzato il pervertito.
“Io sono la morte” rispose l’incappucciato, mentre lentamente si abbassava il cappuccio e mostrava al delinquente il suo volto. Sotto quel mantello di velluto nero si nascondeva una meravigliosa ragazza pallida dai capelli corvini e dagli occhi color sangue. L’uomo rimase impressionato dalla bellezza mozzafiato della giovane donna e si fermò a fissarla, ormai paralizzato. La ragazza si avvicinò velocemente all’uomo, impugnò con entrambe le mani la sua falce e sferrò un colpo che tranciò di netto il collo dell’uomo. Avvicinò rapidamente la bocca alla fontana di sangue e cominciò a berlo tutto, finché nel cadavere non ne rimase nemmeno una goccia. Afferrò poi la testa mozzata e l’addentò con le sue fauci affilate, fino a lasciarne solo le ossa e gli occhi. Buttò a terra i resti e si voltò soddisfatta, con il sangue che ancora colava dai lunghi canini e dalle labbra. Poi fece un salto, iniziò a sbattere le sue meravigliose ali e si perse nel tetro e cupo cielo della città fantasma.

Che ne dite, abitanti e visitatori dei Bastioni?
Se siete curiosi di leggere di più, su, andate a dare un piccolo obolo ad Amazon per comprare il libro intero! :D


http://www.amazon.it/The-Black-Rose-saga-ebook/dp/B00AA3TFU8/ref=sr_1_1?ie=UTF8&qid=1353452395&sr=8-1

martedì 22 gennaio 2013

Intervista ad Aurora Torchia per Favole del Crepuscolo

Che dire?
Ringrazio la gentilissima Rita, che mi ha ospitato nel suo blog e mi ha permesso di blaterare a ruota libera su Favole... Spero che vorrete fare un salto a leggermi! (^_-)

Intervista

E non dimenticate di dare un'occhiata a questo bellissimo blog nel suo complesso, non soffermatevi solo sui miei deliri :D

Anakina.blog

lunedì 21 gennaio 2013

Fratelli dello Spazio Profondo - l'anteprima continua

Ed eccoci al secondo appuntamento con Erika Corvo e il suo Fratelli dello Spazio Profondo, di cui abbiamo il piacere di ospitare una lunga anteprima "a puntate": quest'oggi facciamo conoscenza col protagonista... Quindi fatevi avanti!
(per la prima parte, vi rimando al post precedente, sempre su Bastions of Illusion.


L’uomo aveva tutto l’aspetto dello spaziale a riposo di vecchio stampo, con la muscolatura e la pelle flaccida per effetto della forza di gravità, cui si era
disabituato durante gli anni di servizio a bordo di vascelli spaziali
<< Perfetto, per il progetto Hunter. >> rispose Krogg, risollevando con un
gesto della mano un ciuffo di capelli biondi che tendevano a ricadergli sul viso,
flaccidi e sbilenchi come tutto il resto. << E’ nel mio corso da quando è arrivato
qui, otto anni fa, e già da allora ha mostrato caratteristiche tali da essere
immediatamente segnalato a chi di dovere ed essere inserito nel progetto:
massima intelligenza, massimo impegno nello studio… Subito schernito da tutti
per via della sua provenienza; un pianeta minore appena affiliato, praticamente
sconosciuto. Non hanno mai smesso di deriderlo ed isolarlo; in barba ai suoi
magnifici risultati scolastici, o forse invidiosi di questi. Si è fatto notare subito
per il suo carattere rissoso e violento, indomabile. Reagisce con furia rabbiosa
ad ogni insulto e ad ogni provocazione, e da allora fa a botte quasi ogni giorno.
Non appena gli ufficiali federativi ci hanno comunicato la conferma al suo
inserimento al progetto, naturalmente, ci siamo adoperati affinché qualunque
studente si sentisse in diritto di sbeffeggiarlo apertamente, esasperando al
massimo grado le sue capacità di reazione e il suo istinto di sopravvivenza.
Ora come ora diffida di tutti, istintivamente. Se provocato diventa
violento e pericoloso, e se non ha ancora ucciso nessuno, probabilmente, è
solo perché ogni volta è stato fermato in tempo. Ma i federali sono
convinti che presto sarà maturo anche per l’omicidio. >>
<< Non ha mai sospettato di essere manovrato in qualche modo, e che certe
situazioni potessero essere state manipolate dall’alto? >> chiese Marvel,
l’insegnante grasso dai baffi spioventi.
<< E perché dovrebbe? Quando più di cinquecento allievi possono deriderti e
malmenarti impunemente e gli insegnanti non si scomodano più di tanto per
impedirlo, chiunque arriva a pensare di essere realmente un diverso, e che
cercare di ottenere il rispetto altrui tramite l’uso della violenza sia l’unica
soluzione possibile. >>

La navetta prese terra per la seconda volta, lasciando uscire un secondo gruppo
di ragazzini altrettanto spauriti dei primi.
Tra di questi spiccava per l’altezza un individuo dai capelli chiari, con una
grossa borsa come bagaglio a mano.
<< Hey, tu! Non sei un po’ cresciutello per il primo corso? >> gridò qualcuno
oltre la rete.
L’individuo si voltò lentamente. Non poteva essere un allievo. Portava un corto
pizzetto ben curato a contornargli bocca e mento, e non dimostrava meno di
venticinque, trent’anni.
<< Sei stato bocciato duecento volte? Devi proprio avercela dura, la zucca! >>
L’uomo non degnò di uno sguardo la piccola folla dall’altro lato della cinzione,
e ad un cenno del guidario incaricato, seguì il resto del gruppo fino ai cancelli
del minuscolo spazioporto.
<< Stai zitto, Bruno: è facile che quello sia un nuovo insegnante. >>
<< Naa, troppo giovane. Qui nessun docente ha meno di cinquant’anni, e poi
l’organico è già al completo. E’ più probabile che sia un guidario, e con quelli
si può scherzare lo stesso. >>
<< Fai un po’ come vuoi. Io, però, la tuo posto, sarei un po’ più prudente
finché non avrò visto il colore della divisa che indosserà. >>
<< Ci vorrà tutta l’estate allora. Sai anche tu che i nuovi arrivi giungono
qui al termine dell’anno, in modo che abbiano qualche settimana di tempo
per ambientarsi, prima dell’inizio del nuovo anno scolastico. Non si ha più
molto tempo a disposizione, dopo. >>
<< E allora? >> fece l’altro allievo << Ci sono sempre tutti gli altri, se
proprio ti prudono le mani. Che bisogno hai di stuzzicare proprio
quello?>>
<< Forse hai ragione. Beh, qui lo spettacolo è finito >> concluse Bruno
guardando la navetta allontanarsi per la seconda volta dalla superficie del
pianeta. << Andiamo a cercare Black. >>
<< Sarà la solita preda, ma è pur sempre la migliore. >>

<< I nuovi allievi sono già qui da una settimana, e ancora non hanno
smesso di tormentare ME. >> pensò con disappunto Brian Black, uscendo
dalle docce della palestra, dove avevano luogo le gare estive delle varie
discipline sportive. << Sarà la solita storia anche quest’anno, temo: un
altro anno da incubo. >>
Giunto alla panca, scaraventò a terra l’asciugamano con un gesto di stizza,
costatando che la propria uniforme era scomparsa
<< Si ricomincia daccapo: un’altra brutta sorpresa. >>
Al posto della divisa, qualcuno aveva lasciato un rozzo paio di calzoni da
contadino e una camicia a quadrettoni di stoffa grezza e ruvida, sporchi di
strame di cavallo.
Dovevano averli sottratti di nascosto a qualcuno degli stallieri.
Brian si guardò intorno, aspettandosi di poter riconoscere dai sogghigni
più o meno palesi l’artefice dello scherzo.
Molti degli sguardi dei presenti erano fissi su di lui, ma solo quelli di
Bruno Bomakov e di un paio dei suo amici più fedeli rilucevano di gioia
maligna.
<< Allora? >> li apostrofò Black rimanendo immobile accanto alla panca,
nudo e gocciolante, sentendo montare in sé una gran rabbia per quella
interminabile sequenza di scherzi di pessimo gusto.
<< Allora, cosa? >> domandò di rimando Bomakov, beffardo.
<< I miei vestiti. Dove sono i miei vestiti?
<< E che vuoi che ne sappiamo, noi? >>
<< Perché, quelli non sono i tuoi? Eppure si addicono perfettamente ad un
provinciale come te… Dovresti provarli, sai? >>
<< Se non ti piacciono, puoi sempre scambiarli con quelli di qualche
novellino… ce ne sono tanti, non hai che da scegliere! >>
Parecchi tra i ragazzi più giovani presenti nello spogliatoio si affrettarono
a rivestirsi e a lasciare il locale temendo che il litigio tra i più grandi
potesse ritorcersi su di loro.
<< Posso scegliere? Benissimo, stronzo: voglio i tuoi, Bomakov. >>
<< Che? Non sono mica un novellino, io. >>
<< No? >> replicò Black inarcando un sopracciglio, avanzando verso il
giovane con atteggiamento minaccioso. << Eppure scommetto che
piangerai chiamando la mamma, quando ti avrò suonato a dovere. >>
Senza dargli il tempo di reagire, Black afferrò l’avversario per i corti
capelli scuri e, fattolo alzare con un violento strattone, lo colpì subito dopo
con un diretto allo stomaco. I due compagni di Bomakov scattarono
immediatamente all’impiedi cercando di afferrare il loro antagonista, ma i
corpo nudo di Black non offrì loro alcun appiglio.
Bastarono un paio di calci bene assestati a scaraventarli a terra dopo aver
fatto loro perdere l’equilibrio, facendoli scontrare dolorosamente contro un
paio di panche.
Il ragazzo trascinò allora Bomakov fino ai servizi, costringendolo ad
inginocchiarsi accanto ad uno dei water, infilandogli la testa all’interno, un
braccio torto dietro la schiena.
Il malcapitato si divincolò come una furia quando Brian azionò lo
sciacquone.
<< Da merda che sei non meriti altro. Peccato che tu sa troppo grosso per
infilarti tutto nel buco e vederti scomparire. >>
<< Lasciami, maledetto! La pagherai! Te lo giuro! >> gridò il ragazzo con
voce strozzata.
Black lo rialzò con uno strattone, e un violento diretto in pieno viso lo
mandò a sbattere contro una parete, sanguinando dalle labbra rotte.
Soddisfatto del suo operato, Brian tornò alle panche dove, impossessatosi
degli abiti del suo nemico, li infilò velocemente ed uscì dallo spogliatoio,
sbattendo la porta dietro di sé.
Caibo e Masquez rialzarono Bomakov, furioso e dolorante.
<< Questa me la pagherà cara, quel brutto contadino bastardo! Chiamiamo
anche gli altri e andiamo a cercarlo. >>
<< Armati? >>
<< No. Niente lame. Pugni e bastoni danno più soddisfazione. >>
Da una finestra in un corridoio del pianterreno, Black osservò sette giovani
domandare informazioni ad un ragazzo del terzo corso, il quale indicò la
direzione in cui si trovava. Uno dei sette era Bruno Bomakov.
Brian si appostò dietro la porta della stanza in cui si era nascosto in
previsione di un attacco in forze.
Non appena sentì un brusio di voci oltre l’uscio e vide la maniglia iniziare
ad abbassarsi, senza perdere tempo spalancò la porta con un formidabile
calcio, cogliendo di sorpresa almeno tre avversari, di cui due rotolarono a
terra perdendo sangue dal naso. Subito dopo si lanciò attraverso la finestra
aperta, rotolando sull’aiola fiorita al disotto di essa.
Gli inseguitori irruppero nella stanza e, trovandola vuota, si affacciarono
alla finestra.
Immediatamente furono bersagliati da un nutrito lancio di vasi di fiori,
scagliati da un Brian ben deciso a vendere cara la pelle. Subito dopo aver
esaurito i vasi disponibili, si diede alla fuga attraversando di corsa il cortile
dai vialetti inghiaiati.


Se la storia vi sta appassionando almeno quanto sta prendendo me, potete sempre correre a comprare i suoi libri! 
Oggi ecco per voi il link su Amazon: 
Libri di Erika Corvo 
Supportiamo tutti questa nuova visitatrice dei Bastioni dell'Illusione!

giovedì 17 gennaio 2013

Fratelli dello Spazio Profondo - Erika Corvo

Buongiorno a tutti i viaggiatori giusti ai Bastioni!
Oggi siamo pronti a continuare con un esperimento nuovo, che spero vi piacerà: inauguriamo l'inizio di una sorta di pubblicazione a puntate di una lunga anteprima, che ci terrà compagnia per i mesi a venire.
La gentilissima Erika Corvo si è prestata a questo esperimento e noi siamo felici di ospitarla qui con noi.
Ecco, prima di tutto, cos'ha voluto dirci di sè stessa...

Piccola nota biografica:
Ho iniziato leggendo i libri di mio padre perché non avevo nient'altro da fare. Quando ero piccola, quasi non c'era neanche la tv, e i miei non mi permettevano di uscire di casa. Ancor prima di andare alle elementari leggevo Salgari, Kipling, e gli Urania. La fantascienza è stata il mio primo amore. Magari non capivo tutto, ma sono cresciuta con quelli. Il mio unico modo di conoscere il mondo. Poi c'erano Pirandello, Tomasi Di Lampedusa, Trilussa... Finiti i libri, leggevo anche i foglietti illustrativi dei medicinali e gli ingredienti del Cioccorì. In due lingue, perché in italiano era troppo facile e troppo veloce, e alla fine era sempre quello.
Mi sono sposata incinta per andarmene di casa, e soldi per comprare libri da leggere non ce n'erano; dovevo pensare alla casa e al bimbo appena nato. Troppo povera per qualsiasi cosa. Il marito era un poco di buono, e quando il mondo dove sei non ti piace più, ne inventi un altro. Allora, i libri, ho iniziato a scrivermeli da me. Il libro che avresti sempre voluto leggere e nessuno ha ancora scritto. I primi erano solo esperimenti. Dal 1995 scrivo sul serio. Attualmente ho nove racconti completi e altri tre in mente, pronti per essere scritti.
Tante volte mi hanno chiesto: "Ma perché non li fai pubblicare?"
Perché non ho mai avuto i soldi per una macchina da scrivere, o per un computer, e gli editori, quelli scritti a mano, non li vogliono. Io facevo fatica anche a trovare i soldi per le biro e la carta, altro che computer!
Adesso sono single, ho ancora con me una figlia da crescere e sopravviviamo col mio lavoro part-time, faccio la badante presso la suocera di un architetto. Quest'ultimo, un giorno, mi dice che non legge mai nessun libro scritto da donne, in quanto li trova troppo sdolcinati, scontati e mielosi.
Punta nel vivo, gli porto uno dei miei lavori e li dico:"Mielosi? Bene, prova questo. L'ho scritto io." Nonostante fossero 460 pagine scritte a mano, l'ha letto tutto d'un fiato. Dopodiché mi ha regalato un vecchio computer che teneva in montagna e mi ha detto: "Copialo e presentalo a qualcuno. Ne vale la pena, è veramente bello."

Cominciamo dal principio, quindi... 
Ossia da...

 

FRATELLI DELLO SPAZIO PROFONDO.   SINOSSI.


E' del 1997, il primo di una serie di quattro racconti di pirateria spaziale. Potrebbe essere vagamente paragonabile a Guerre Stellari, ma non gli assomiglia per niente. Dato che non ho mai sopportato la gente che scrive senza sapere quello che dice, per realizzarlo ho dovuto farmi prestare i libri degli amici di mio figlio. Chimica e fisica per le trovate geniali. Le biografie di Cesare, Alessandro il Grande e Annibale per la strategia militare. Piero Angela per la scienza dei viaggi a velocità luce, e vari altri. Mi sono infiltrata in una crew di writers per descrivere i Loonies e il loro gergo.
Nessun altro personaggio mi ha dato soddisfazioni quanto Brian Black.
Non tanto perché scrivere, quando si parla di lui, è veramente divertente, ma perché Brian non è un personaggio di sola azione: ha un cervello, ha un'anima, si pone delle domande e talvolta è tormentato dal dubbio, si mette in gioco, ricomincia tutto daccapo. E come tanti personaggi di carta, ha preso vita. Tant'è che ogni tanto mi racconta qualcos'altro di lui, e ricomincio a scrivere.


 Capitolo primo
 
PIANETA OTTOL, COSTELLAZIONE CHIOMA DI BERENICE
ANNO 749 FEDERAL DOMINI


L’umidità del locale docce, deserto, si condensava sulle piastrelle bianche alle
pareti, rigandole come lacrime silenziose su di un viso stanco.
Il viso pallido e tirato del giovane Roe assomigliava alla parete, bagnato di
lacrime di rabbia e di dolore. Si era rinchiuso all’interno di uno dei box doccia e
seduto sul pavimento, rannicchiato, con la testa appoggiata all’angolo del muro
<< Non ce la faccio più >> mormorò, preparandosi a rendere definitiva la sua
decisione << Per sopravvivere qui dentro bisogna essere di pietra o avere
l’istinto di sopravvivenza di una belva feroce. Io non sono così. Mi rifiuto di
esserlo! >>
Lentamente si sfilò la cinghia dei pantaloni e ne allacciò un’estremità al tubo
della doccia umido e robusto. Salì sullo sgabello di servizio ed infilò la testa nel
cappio formato con la fibbia e la lunga striscia di cuoio.
Il suo cuore batteva all’impazzata cercando il coraggio necessario a rovesciare
lo sgabello.
<< Vaffanculo, Bomakov. Non ti darò la soddisfazione di picchiarmi ancora, e
l’inferno non può essere peggio di questo posto. >>
Scalciato via lo sgabello, Roe penzolò nel vuoto con il collo stretto in una
morsa. Un rantolo soffocato. Il cuore proseguì a battere veloce ancora per poco,
poi rallentò la sua corsa fino a fermarsi del tutto.
<< Che gli Dei ti òdino come ti odio io, Bomakov. >>
Con quest’ultimo pensiero rovente, la coscienza di Roe si dissolse nel buio
eterno.


 La pista di atterraggio era ampia quanto un modesto campo sportivo all’interno
delle solide mura dal lungo percorso irregolare, confine invalicabile di un
piccolo microcosmo a sé stante.
Al pari di un gruppo di tifoseria durante un incontro sportivo, un folto pubblico
di giovani assisteva a quello che doveva essere lo spettacolo culminante
dell’intera annata.
Da una nave passeggeri rimasta in orbita attorno ad Ottol, era discesa una
navetta. Per effetto dei razzi frenanti e del cuscinetto d’aria, si adagiò
dolcemente sul sottile strato di ossido di alluminio che rivestiva l’ampia
porzione di terreno adibito all’atterraggio dei veicoli terra-spazio
Oltre la rete di protezione che delimitava il perimetro dello spazioporto, si levò
un coro di urla e di fischi non appena la navetta toccò il suolo, e i fischi
raddoppiarono di intensità allorché il portellone venne aperto e la passerella
calata.
Discese per primo un inserviente seguito da un gran numero di persone dall’aria
giovane e spaurita. Ognuno di loro portava con sé un grosso zaino sulla
schiena, o pesanti bagagli a mano. L’età media dei nuovi arrivati sembrava
essere, a parte qualche rara eccezione, tra gli otto e i tredici anni, ma ciò non
risparmiava loro battute pesanti da parte della schiera di ragazzi più grandi
assiepati al di là delle reti.
<< Guarda un po’che facce da scemi, quei pivelli! >>
<< Ti sei portato dietro il biberon, cocco di mamma? >>
<< Cosa c’è in quello zaino, faccia da fesso? L’orsacchiotto? >>
<< Hey, piscialletto, te li sei portati, i pannolini? >>
Risate e battute continuarono finché i frastornati ragazzini vennero condotti via
da un guidario in divisa azzurra, docili come agnelli ai suoi comandi. La
navetta richiuse il portello e con un getto dei razzi si mosse lentamente dal
suolo, per poi guizzare verso l’alto con una formidabile accelerazione.
<< Tra dieci minuti arriverà il secondo carico >> fece uno dei ragazzi dietro la
rete.
<< Quanti arrivi sono previsti, quest’anno? >> domandò agli amici un ragazzo
sui diciassette anni.
<< Almeno settanta elementi: tre classi nuove. Avremo molto da divertirci:
sembrano ingenui come verginelle candide! >>
<< Inventeremo scherzi nuovi. >>
<< Anche quelli vecchi vanno sempre bene: tanto, loro non li conoscono. >>

<< Così, anche quest’anno si è concluso >> sentenziò l’uomo dai capelli
inargentati, seduto su una antica e imponente poltroncina imbottita rivestita di
pelle bordeaux.
La luce dorata del tramonto si rifletteva dall’alta finestra rettangolare alle sue
spalle fino al massiccio tavolo in mogano scuro.
<< Non è stato un anno malvagio, rettore. Non sembra anche a voi? >> replicò
un uomo grasso dai lunghi baffi spioventi.
<< Una buona annata … già … Una buona annata. >> disse pronunciando
lentamente le sue parole, assaporandole come fossero vino pregiato.
<< Settanta ragazzi promossi, di cui la metà con un buon punteggio; dieci
respinti, un ritiro e due suicidi… Kidan e Roe. Peccato, soprattutto per Roe.
Kidan era uno smidollato. >> commentò giocherellando con le dita sul
bracciolo imbottito.
<< Non faceva parte di quel progetto federale…? >> lasciò in sospeso
un’anziana donna con i capelli acconciati a crocchia, seduta accanto al rettore.
<< Roe? Si, il giovane Roe. >> precisò questi << Era uno dei prescelti per il
progetto Hunter. Un soggetto promettente, ad onor del vero… Ma troppo
debole, evidentemente non ha retto alla pressione. L’hanno trovato questa
mattina impiccato nei bagni con la cinghia dei calzoni dell’uniforme…
forniamo cinghie molto robuste ai nostri allievi.>>
<< Quanti ne restano, ora? >>
<< Qui nel Complesso delle Scienze, su Ottol, professoressa Nield? Fide sta
lasciando or ora il pianeta, pronto per i suoi nuovi incarichi federali… Visto che
Roe ci ha lasciati in altra maniera, ne resta solo uno… l’allievo Black. Non è
del suo corso. >>
<< Che tipo è? >> domandò l’anziana donna.
L’uniforme dei docenti, grigia con le bande laterali verde e oro, era la stessa per
tutti gli insegnanti, indipendentemente dal loro sesso, ma la professoressa Nield
riusciva ad indossarla inamidata e abbottonata fino all’ultimo bottone del
colletto nonostante il caldo, come un abito da zitella castigata e bigotta.
Non basta un’uniforme a rendere uguali le persone: ognuno la indossava a
modo suo, con un effetto diverso. Quella del professor Krogg, insegnante di
navigazione, leggermente unticcia, aveva un bottone inserito nell’occhiello
sbagliato, che conferiva a tutto l’insieme un aspetto sbilenco e un’aria pallida e
gualcita come se si vergognasse di essere lì, indosso al suo proprietario.


Vi sta appassionando? Se la risposta è si, la soluzione è semplice: andare subito a comprare il suo libro, al link qui sotto! :D

Fratelli dello Spazio Profondo 

lunedì 14 gennaio 2013

Recensioni, segnalazioni e molto altro...

Oggi, una volta tanto, niente stralci di racconti da leggere...
O quasi.
Ma forza, avanti con le news!!

1) Oggi voglio segnalare a tutti - sperando siano molti! XD - lettori un blog, che mi ha fatto il grande piacere di scrivere una recensione per un'antologia a cui ho collaborato anche io, con il racconto (H)Yun: una storia di robot e apocalisse che mi è molto cara e mi ha molto divertito scrivere.
Quindi, in occasione di questa recensione, ottengo il doppio risultato di farvi leggere la recensione in questione e in più segnalarvi il blog, luogo di ritrovo di volenterose appassionate di scrittura, sempre pronte a dare una mano! ^^

http://bardenan.blogspot.it/ 

2) La seconda cosa che voglio segnalare oggi è un altro mio racconto - o almeno il suo incipit.
Ho infatti iniziato la serializzazione su un sito di fanfiction della prima delle storie ambientate in un mondo a cui lavoro da parecchio: è un progetto che andrà a espandersi e a cui tengo davvero tanto.
Ovviamente, sarà un piacere per me se avrete voglia di seguirmi in questa nuova avventura...

La Città dei Mostri - preludio 

mercoledì 9 gennaio 2013

Il Tocco degli Spiriti Antichi - Noemi Gastaldi

 Sono contenta di poter ospitare in questo blog un'altra autrice fantasy, di cui spero avrò l'occasione di parlarvi anche in altri futuri post: si tratta di Noemi Gastaldi, che ci dà qui un assaggio del suo romanzo fantasy, disponibile su amazon.
Spero che questo sia solo l'inizio, e avremo presto molti altri autori di cui parlare!


Aveva iniziato a nevicare e le strade erano deserte. Soltanto pochissime incredule persone videro una donna lottare spasmodicamente contro un’armatura.
Francesca corse veloce fino a portarsi alle spalle dello spettro, lasciò cadere il borsone ai suoi piedi e prese a concentrarsi. In quel momento, l’armatura si girò verso di lei e si fermò, come se d’improvviso fosse inanimata. Il clangore delle sue giunture tradì subito la sua natura materica, molto differente da quella di un Larius, per quanto il bagliore con cui era apparsa fosse molto simile a quello degli spettri bambini. I Larius, infatti, pur essendo perfettamente in grado di provocare fastidiosi rumori di varia natura e di distruggere oggetti, mantenevano sempre una parvenza evanescente che non aveva nulla a che vedere con l’aspetto solido e imponente di quel nuovo tipo di spettro.
Le mani della Viator si mossero rapide e decise: senza esitazioni, Francesca prese una mistura di erbe e la lanciò in aria, poi, con una rapidità inaudita, accese un fiammifero e lo lanciò tra le foglioline ancora sospese tra i fiocchi di neve. Una piccola esplosione di nebbiolina verdastra avvolse le sue mani fino agli avambracci: in una frazione di secondo questi vennero ricoperti da uno strato sottile di metallo scuro che proseguiva fino alla punta delle dita, prolungandone le unghie in forti lame affilate. La Viator chiuse gli occhi e si concentrò ancora, poi attaccò l’armatura: sferrò un colpo rapido, mirato a infilare le sue lame nella cotta di maglia che congiungeva l’elmo al corpo dell’armatura. Lo spettro rispose altrettanto velocemente, parando il colpo con la sua mano metallica. Con uno stridio raccapricciante, le lunghe unghie di Francesca lasciarono cinque profondi segni lucidi sul polso del suo nemico, mentre la Viator sferrava un nuovo colpo con l’altra mano, mirando questa volta a infilare le unghie nel ventre dell’armatura. Ancora una volta lo spettro parò il colpo; Francesca si fece indietro di un passo e l’armatura si bloccò nuovamente davanti a lei.
Francesca si portò nuovamente le mani alle tempie, cercando di richiamare alla memoria tutte le sensazioni che aveva provato al tocco di quel metallo scuro: le sue mani frugarono ancora nel borsone alla ricerca del giusto rituale, riempirono una piccola beuta di vetro con dei pigmenti colorati e la scagliarono contro l’armatura. Subito dopo, un nuovo lancio di erbe, un nuovo fiammifero e una nuova esplosione verdastra. Le sue unghie divennero più lunghe e più forti. Francesca tentò subito di colpire al collo il suo nemico e, questa volta, quando il braccio metallico parò il colpo, le unghie della Viator riuscirono a penetrare l’armatura: Francesca avrebbe staccato di netto quel braccio, ma una sospensione scura iniziò a fuoriuscire dai solchi che aveva inferto. La Viator respirò quella strana sostanza e sentì il suo corpo paralizzarsi. I suoi occhi videro il metallo che proteggeva i suoi avambracci tagliarsi di netto come sotto l’effetto di un laser, lasciando scoperta la sua pelle chiara e sottile. Una dopo l’altra, le vene bluastre del suo polso venivano recise, il suo sangue fluiva lentamente fino a sporcare la candida neve al suolo. Francesca credette di lanciare un grido, ma dalla sua bocca spalancata non uscì alcun suono. In un folle giramento di testa, si accasciò ai piedi dell’armatura tremando sul suo corpo debole.
D’improvviso, riaprì gli occhi: le sue braccia erano intatte, il metallo protettivo era al suo posto, il suo corpo era ancora forte.
L’armatura non si era mossa e portava i segni del suo ultimo attacco; la nebbiolina scura che aveva provocato quella forte illusione alla Viator, aleggiava attorno al braccio in cui le sue unghie erano penetrate.
Francesca si alzò in piedi e restò allibita davanti all’ambiguo comportamento di quello spettro sconosciuto.
Con i Laruis era stato tutto molto più semplice: quando il primo di quei bambini le aveva fatto visita, insistendo a voler essere liberato, lei sapeva già quel che doveva fare. Le sue frequenti e intense ibridazioni con le bestie le avevano dato sufficiente conoscenza e potere per creare una sorta di pozione che, unita alla sua volontà, avrebbe dissolto quello spirito camuffato da infante senza problemi.
Invece, con quell’armatura, nulla sembrava funzionare. Francesca era esausta, ma lo spettro restava fermo in mezzo alla neve; non sembrava per nulla interessato a combattere con lei e, fin dal principio, si era difeso senza mai attaccare. La Viator si convinse che dovesse essere anch’esso qualcosa di molto simile a un Larius, e che stesse attendendo di essere dissolto.
Si concentrò ancora una volta, richiamando alla mente le nuove informazioni acquisite. Le sue mani si mossero rapide e disegnarono uno strano simbolo sul sottile strato di neve che ricopriva l’asfalto, poi armeggiarono all’interno del borsone ed estrassero un coltello dalla lama ricurva. Con tutte le sue forze, Francesca piantò la punta del coltello al centro del simbolo che aveva davanti e, finalmente, l’armatura vacillò: per qualche secondo apparve evanescente e poco solida, certamente Francesca sarebbe riuscita a distruggerla sferrando un nuovo attacco a seguito di quel rituale. Quell’armatura, però, non era intenzionata a lasciare che questo accadesse. Non se ne era stata ferma ad aspettare per esser “liberata”, non aveva assolutamente la volontà di far cessare quello stato di cose. Lei voleva solo conoscere la forza della Viator che aveva davanti.
Mentre Francesca si concentrava un’ultima volta per terminare quel che aveva iniziato, l’Armatura aprì il suo elmo e ne fece fuoriuscire un’emanazione nera che colpì in pieno il volto della Viator.
Francesca cadde prima in ginocchio, poi si ritrovò sdraiata a terra: non riusciva a vedere nulla né a muoversi.
Quando si riprese, era bagnata fradicia e mezza congelata. Sia Roberto che Lucilla erano finalmente riusciti a raggiungerla.
L’armatura era ormai lontana.


Questo era solo un piccolo assaggio... 
Se volete sapere il resto della storia - o anche il suo inizio, se è per questo - non vi resta che acquistare l'ebook su amazon!